Dal 25 giugno 2011 la Chiesa di Santa Sofia, che fa parte del sito seriale “I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)”, è nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
La Chiesa di Santa Sofia fu completata da Arechi II nell’anno 762 e rappresenta una delle più importanti testimonianze architettoniche della Longobardia Minor. La chiesa di Santa Sofia fu fondata dal duca Gisulfo II e completata da Arechi II, genero del Re Desiderio, non appena divenne Duca di Benevento.
Essa, costruita accanto ad una abbazia benedettina, fu portata a termine nell’anno 762, forse come Chiesa nazionale del popolo longobardo, e fu la più ardita e fantasiosa costruzione dell’alto Medioevo.
Arechi II vi annesse una comunità di suore, anch’esse benedettine, incorporandola al Cenobio preesistente, ed intitolò il tutto, pare su suggerimento di Paolo Diacono, alla Santa Sofia, cioè alla Santa Sapienza, a somiglianza del più famoso tempio giustinianeo di Costantinopoli. Oltre che per la sua importante chiesa, ebbe particolare importanza anche il suo “scriptorium” dove si usò la “scrittura beneventana” divenuta famosa nel mondo. La chiesa di Santa Sofia si presenta come un edificio di straordinario interesse architettonico.
Pur essendo di piccole dimensioni, ha una architettura molto particolare e del tutto nuova per l’epoca. La chiesa ha una pianta che al centro è a forma di esagono ai cui vertici ci sono 6 colonne provenienti, probabilmente, dal Tempio di Iside. L’esagono interno è circondato da un anello decagonale con otto pilastri di pietra calcarea bianca e due colonne ai fianchi dell’entrata. Il muro perimetrale ha per alcuni tratti forma circolare mentre per altri è a forma di stella, a testimonianza dell’eccezionale abilità impiegata nella costruzione. Anche le volte assumono varie forme: quadrangolari, romboidali, triangolari.
Nella chiesa vi sono numerosi resti degli affreschi delle absidi, e di varie altre zone. Santa Sofia fu quasi completamente distrutta dal terremoto del 5 giugno 1688 e ricostruita in forme barocche per volere dell’allora cardinale Orsini di Benevento (poi divenuto papa Benedetto XIII). Le forme originarie furono riportate alla luce nel restauro del 1951.